Ven. Dic 13th, 2024
Foto Il Corriere.it

Nel giorno di Pasqua, come ormai tutti sapranno, un neonato di nome Enea è stato lasciato nella Culla per la Vita della Clinica Mangiagalli di Milano.

“Lasciato”: e non “abbandonato”, come molti giornali hanno scritto.

Lasciato in uno spazio protetto, nel quale dovrebbe poter ricevere assistenza con assoluta certezza nel giro di massimo un paio di minuti: non abbandonato in un cassonetto. Spazio protetto grazie al quale si suppone (si suppone) la privacy di chi decide di compiere questo gesto viene assolutamente tutelata e garantita.

Ma andiamo con ordine, e cerchiamo di capire meglio perché ne stiamo parlando da giorni, nonostante ormai pastiera e grigliata siano già un lontano ricordo.

Una Culla per la Vita.

Attualmente in Italia ci sono all’incirca 50 “culle per la vita”, dislocate un po’ per tutto lo stivale.

Ehm, mi correggo: non proprio tutto. Mancano in Sardegna, Friuli, Trentino, Molise e Calabria. L’elenco completo e dettagliato si trova a questo link.

Quello che molti non sanno, e che non emerge per nulla con chiarezza nei vari servizi giornalistici, è che le culle per la vita non sono un’iniziativa dello Stato: nonostante spesso si trovino presso gli ingressi secondari di ospedali e cliniche, lo Stato non c’entra proprio nulla.

Ho scritto “spesso”. Non sempre.

Se si scorre con attenzione l’elenco del link, infatti, si scopre che alcune culle si trovano in luoghi decisamente diversi da un ospedale, pubblico o privato che sia.

Prendiamo ad esempio (ma è solo un esempio) la sezione delle culle della Lombardia, in cui si trova anche la Clinica Mangiagalli.

Ci sono:

  • una casa di riposo a Marcallo con Casone (beh, lì un medico sicuro ci sarà: forse non specializzato in neonatologia, ma sempre medico. O forse è per questo che risulta “momentaneamente fuori uso”)
  • un Istituto delle Suore del Buon Pastore a Crema. Il quale, confrontando anche l’indirizzo, pare una Scuola dell’Infanzia paritaria

  • ed infine un “Centro di aiuto alla Vita” a Vigevano. Che non capisco se sia un semplice centro di accoglienza oppure un vero e proprio ospedale pronto a tutto.

Nulla da dire, per carità, ci sarà sicuramente perlomeno un’incubatrice in ognuno di questi luoghi.

Però come mai quest’abbondanza di istituti privati, per lo più a carattere religioso?

Perchè quella della culla per la vita, come dicevo più sopra, non è un’iniziativa dello Stato italiano laico.

Bensì è un’idea, risalente al 1992, di tale Giuseppe Garrone, un medico di Casale Monferrato. Il quale, sempre a Casale Monferrato, fondò la locale sezione del Movimento per la Vita.

Il Movimento per la Vita.

Il Movimento per la Vita nasce da una costola dei “Centri di aiuto alla Vita” (come quello di Vigevano in foto, il quale reca ancora quel nome).

I centri di aiuto alla vita, fondati nel 1975, si proponevano di:

  1. contrastare l’aborto, all’epoca ancora clandestino.
  2. dare seguito, sul piano politico e sociale, alla dottrina morale della Chiesa Cattolica.

E così nel 1978, quando venne poi approvata la legge sull’aborto, la famigerata 194, nacque appunto il Movimento per la Vita.

Il quale non perse tempo e nel 1981 promosse immediatamente due referendum:

  • il primo chiedeva l’abrogazione totale della 194: fu respinto dalla Corte Costituzionale.
  • il secondo mirava a rendere ammissibile l’interruzione di gravidanza solo per scopo terapeutico. E quello fu approvato.

Ma gli italiani alle urne dissero “NO“, un no netto e senza appello: ben l’88,42% degli elettori votò “l’aborto non si tocca, resta così com’è”.

 

Ma torniamo a Milano, ed alla Clinica Mangiagalli…

La Clinica Mangiagalli assurse agli onori della cronaca nazionale durante le vicende di Tangentopoli, e non solo: nel 1989 fu protagonista di una lunga vicenda giudiziaria, il “caso Mangiagalli”, scaturita dalle dichiarazioni del dott. Leo Aletti, insieme al dott. Luigi Frigerio.

Foto La Nuova Bussola Quotidiana

Profondamente cattolico ed antiabortista (“Difendendo le donne da quella che lui definiva l’ipocrisia dell’aborto, raccontò, non faceva altro che alzare un inno di lode al grembo della Vergine Maria, riferimento ideale per tutte le mamme”, Avvenire), nonchè esponente di Comunione e Liberazione, denunciò che nella clinica avvenivano interruzioni di gravidanza oltre i 90 giorni stabiliti dalla legge.

Il tutto si risolse in un nulla di fatto. Ma pare che, nel corso di quel procedimento, giunsero gli ispettori all’interno della struttura, per fotocopiare le cartelle cliniche delle donne conservate nell’archivio: con ovvia ribellione dei medici abortisti. Però l’allora Ministro della Sanità, il democristiano Carlo Donat-Cattin, ribattè che nessuna privacy era stata violata.

Il dott. Aletti subì inoltre una condanna, poi cassata nel 1997, per aver convinto una donna a non abortire, allo scopo di salvare la vita di una bambina cui era stata diagnosticata una grave malattia, incompatibile con la vita: infatti la neonata morì poche ore dopo il parto.

Stando inoltre al blog delle stelle ancora nel 2009 si rendeva protagonista di una scena poco edificante, il cui seguito giudiziario non conosco.

Insomma, per farla breve diciamo che emerge con chiarezza che le culle per la vita sono un’idea niente affatto laica e statale, e non stupisce si trovino, oltre che in strutture dichiaratamente cattoliche, anche in ospedali dove la presenza degli antiabortisti è riuscita ad imporsi in modi pure impetuosi. 

 

La polemica di questi giorni.

La privacy di Enea e della donna che l’ha partorito, come da più parti è stato rilevato, è stata decisamente violata, di loro sappiamo tutto ciò che era possibile sapere: dal contenuto della lettera che accompagnava il neonato al colore della copertina. E su queste informazioni hanno quindi potuto ricamare tutti, ognuno dicendo la sua: persino chi di mestiere fa il comico.

Il problema è che non è la prima volta che accade.

La culla per la vita della Clinica Mangiagalli esiste dal 2007: la bellezza di 15 anni. Ed in questi 15 lunghi anni (5475 giorni) è stata usata solo altre 2 volte: una nel 2012, ed un’altra nel 2016.

Un successone proprio.

Ed anche di quegli altri due casi sappiamo tutto: data di nascita dei bimbi, corredo che gli era stato messo a fianco, numero di pannolini che li accompagnava, testo di eventuali biglietti, se avevano il tesserino dei vaccini effettuati. Tutto. Alcuni articoli dell’epoca (sì, ci sono ovviamente ancora gli articoli sul web, io non li linko) si spingono pure a precisare le origini etniche della madre.

Può essere, mi chiedo, che tale fuga di notizie sia frutto della furia salvifica dei timorati di Dio che accolgono questi bambini e non badano troppo a tutelare la privacy di quelle donne, pur di far sapere al mondo che la culla “ha funzionato, visto? Esiste, portatecene altri, non abortite!”?

Così come nessuno si fece scrupolo di violare quella delle donne all’epoca dell’inchiesta sul caso Mangiagalli del dott. Aletti e Donat-Cattin?

Sembra che sotto sotto covi l’idea, conscia o meno, che una donna che sceglie di non allevare suo figlio, o addirittura non metterlo al mondo, non abbia perciò stesso più diritto a nulla: che un minimo, in termini perlomeno di privacy, se non di senso di colpa, debba espiare.

Messa così, buttando un occhio a ciò che accade ogni qualvolta una povera crista decide di portare avanti lo stesso quella gravidanza che non si può permettere, non stupisce che poi però scelga di buttarlo in un cassonetto, il bimbo, invece di metterlo nell’incubatrice della “privatissima” culla per la vita gestita dal Movimento per la Vita. 

No?

C’è da aver paura ti spunti la suora da dietro la porta che ti scatta una foto e ti grida “ma che fai???”.

 

Piccola chiosa finale.

Nei giorni scorsi il Movimento per la Vita ha emesso due comunicati stampa.

Il primo, datato 22 Marzo, “A favore della posizione del Ministro Roccella“: in cui non si capisce neppure bene come la pensino. Perché prima dicono “È quanto da sempre ribadisce il Movimento per la vita. Che sta dalla parte dei bambini, nati e non nati, e per questo vorrebbe che ognuno di loro avesse un papà e una mamma, senza però discriminarli in nulla se sono figli di coppie omogenitoriali“. E poi però affermano esista un ” diritto del bambino concepito a nascere, ad avere un padre e una madre“. 

Boh, sarò tonta io, ma mi paiono con le idee un po’ confuse.

 

Il secondo, del 12 Aprile, s’intitola “Smentita e distanze dalla donazione ricevuta dalla sig.ra Cardia.

Già.

Proprio lei, la sig.ra Cardia, l’ormai tristemente famosa santona di Trevignano Romano, la quale faceva lacrimare sangue di maiale alla statua della Madonna e moltiplicava la pizza, ospitata dalla D’Urso a Canale 5. E le cui stigmate sono state “certificate” dalla dott.ssa Rosanna Chifari, spesso gradita ospite dell’emittente Byoblu di Claudio Messora

Ebbene, come si legge nel comunicato, la sig.ra Cardia aveva, tramite la sua Onlus (poteva mancare una Onlus?), fatto una donazione di 5000 euro ad una associazione di Terni la quale NON è una sezione del Movimento per la Vita, ma una “associazione locale a noi federata”. Che si chiama MPV/CAV.

Conclude, il comunicato, che “Fin d’ora, Il MPV si impegna a restituire la piccola somma ricevuta da una sua associazione territoriale, qualora dovesse risultare legata ad attività illecite o non regolari“.

Effettivamente io non vedo cosa vi sia di illecito nell’affermare di parlare con la Madonna, moltiplicare la pizza ed avere le stigmate.

Di L'opinionista scalza

Scrivo perchè telefonare è troppo faticoso.

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