Ci ho pensato attentamente, ed ho deciso.
Alle prossime elezioni voto Lega. Perché non esiste benefattore degli immigrati migliore di Salvini. Meglio ancora dei comunisti che, diciamocelo, non è che abbian fatto miracoli. Lui sembra che li odi, tutti sti neri, ma in realtà li ama profondamente, e sta facendo il loro bene. Perciò ho deciso di scrivere loro una lettera aperta…
Caro fratello immigrato, che ci vieni a fare, in Italia? Non è cosa, credimi.
È per questo che stiamo lasciando morire alcuni come te che ci stanno provando (lo so, un po’ forte come strategia: però è convincente, no?): perché una volta che si sarà sparsa la voce pure da te, che a tentare di arrivare qui si crepa, magari ci pensi su due volte, ti pare?
Ecco, è esattamente questo, lo scopo: spingerti ad andare altrove.
Lascia che ti spieghi… Siamo un paese al tracollo. Per quest’anno è prevista, per noi, la crescita più bassa di tutta l’Unione Europea: ci supera persino la Grecia, che fino a qualche mese fa stava con le pezze al culo ad andare a comprare il pane con la carriola di monetine. Siamo noi per primi, a voler scappare dal suolo patrio: ci sta bene pure stare in 4 in una stanza a Londra a fare i lavapiatti con la laurea in tasca e l’ansia di essere sbattuti fuori dalla May il 29 marzo, pur di emigrare, non so se mi spiego.
Lavoro non ce n’è, Abdul. Quello serio, a tempo indeterminato, lascia perdere: ma tra poco pure quello non serio. Tanto è tutto fermo: le fabbriche chiudono, mica aprono o dichiarano profitti sai.
E quel poco che c’è non lo daranno certo a te: perché tra poco vedrai che pure quelli che prima facevano gli schizzinosi si adatteranno anche ad andare a raccogliere pomodori a 3 euro a cassetta con sveglia all’alba e niente pausa pipì, visto che staranno alla frutta. E sarà una lotta all’ultimo sangue fra te e loro. E tu perderai, Abdul: perché sei abbronzato. E qui quelli abbronzati non ci piacciono.
Penserai di trovare un lavoro, una casa, e magari portarti pure la famiglia: ed invece ti ritroverai, come mille altri prima di te, a vivere in una soffitta piena di umidità con altri 10 come te, dormendo su un materasso appoggiato a terra e sognando di essere nel posto da dove sei dovuto scappare. Magari senza le bombe e la tortura, s’intende.
E ti saliranno, insieme alla nostalgia ed il senso d’impotenza, anche la rabbia e la bestialità: perché nella miseria si diventa bestie. E noi lo sappiamo, lo sappiamo bene, infatti: siamo in miseria, per quello siamo bestie.
A quel punto deciderai di dare retta a quel tizio che ti ha sempre detto che non vale la pena mettersi a lottare, qui: che tanto non se ne esce, e quindi meglio farsi furbi. Così, Abdul, diventerai un piccolo spacciatore, un rapinatore da strapazzo, uno che insomma intrallazza per tirare a campà.
(A me starai sulle palle eh, te lo devo dire: e pure parecchio. Perché comunque ho nel DNA che la delinquenza è da condannare a prescindere, per quanto ne possa avere chiara la genesi).
Questo non farà che peggiorare la situazione, fra l’altro: perché a quel punto verrai additato ancora di più, perderai sempre più credibilità, avrai ancora meno possibilità di trovare qui quel che non avevi là.
Insomma Abdul… Non ci venire in Italia, ascolta me. Lascia che questo Paese naufraghi totalmente nel suo populismo, nelle conseguenze di una storica e cronica mancanza di senso civico e dello Stato, il tira a campà del singolo che ha portato a corruzione e deficit e tasse esorbitanti per coprire le falle create da tutto ciò, che a loro volta hanno creato evasione se vuoi persino sacrosanta. Non ci venire perché tanto qui staresti solo di poco meglio di come stavi là. E se neanche questo basterà a far capire agli italiani che la colpa non è tua chissenefrega: almeno tu però ti sarai davvero salvato. Tira a campà Abdul, pensa a te stesso.
Ecco, quasi quasi voterò Lega: perché quelli che l’hanno votata e la osannano meritano di affondare nella verità, con tutti i loro striminziti o meno conti in banca. E Salvini avrà aperto loro gli occhi salvando migliaia di immigrati dallo squallore di una vita infame.