Dom. Set 8th, 2024

La comunità scientifica internazionale è ormai notoriamente concorde nel sostenere quel che da tempo immemore l’Uomo Qualunque andava blaterando, e cioè che le donne si dividono in due, e solo due, macro categorie: quelle che la danno e quelle che no.

La certezza di tale assunto ha però trovato solo recentemente conferma grazie ad osservazioni sul campo che hanno dimostrato come da sempre le donne stesse ne siano consapevoli, ed anzi si facciano strenue promulgatrici di tale teoria: salvo poi lamentarsene. Il presente articolo analizza pertanto nel dettaglio le caratteristiche non già del pensiero maschile in materia (oggetto di una prossima dissertazione), ma di quello femminile.

Il primo e fondamentale dato che emerge è che ogni donna si autoidentifica in uno dei due gruppi. Non importa quale, la conclusione cui giungerà sarà comunque sempre la medesima: le povere sfigate che non hanno capito niente della vita sono quelle appartenenti all’altro. Tale scelta di campo non è però quasi mai definitiva, ma anzi ogni femmina è soggetta a continui ripensamenti: è stato calcolato infatti che una rappresentante tipica della categoria trascorre in media 40 anni della sua esistenza a spostarsi frenetica da un macro gruppo all’altro con la stessa coerenza di Adinolfi, per poi in genere trovare una sua collocazione definitiva quando ormai è troppo tardi e non gliene frega più un fico a nessuno se la dà o non la dà. Tali fluttuazioni di identità sono legate a molteplici fattori, tra cui NON è da annoverarsi il ciclo mestruale: una che la dà, infatti, la dà per il piacer suo, e non perché il suo corpo un paio di giorni al mese anela all’accoppiamento per perpetrare la specie. Anzi, ad una che la dà di norma non può fregare di meno della longevità del genere umano: la dà sempre, che piova o tiri vento, adottando ogni espediente possibile per dare il suo contributo all’estinzione dell’umanità. Viceversa, quelle che non la danno non la darebbero manco se fossero le ultime rimaste sul pianeta: con i sensi totalmente atrofizzati vivono nella loro asettica bolla di ghiaccio 30 giorni su 30, figuriamoci se si lasciano turbare da qualche sommovimento ormonale inscritto nel codice genetico. Per loro il “richiamo della carne” è l’odore che giunge dall’appartamento del vicino che sta facendo la grigliata di Pasquetta sul balcone.

No. I cambi di schieramento sono legati ad altri fattori.

Vediamone alcuni:

  • Il livello di realizzazione professionale. È risaputo che quelle che non fanno carriera sono quelle che non la danno: e che sanno benissimo che quelle che l’hanno fatta l’hanno invece data, spesso e generosamente e con molta fantasia. Quando poi pure le semplici operaie che non la davano riescono finalmente a salire qualche gradino della scala gerarchica la musica cambia, e queste diventano strenue sostenitrici dell’ascesa per merito, pure di quelle che in alto ci stavano già prima di loro. Resta quindi tutt’ora un interrogativo allo studio se la carriera la si faccia perché la si dà o no.
  • La situazione sentimentale. Qui le cose sembrano all’apparenza più semplici: le accoppiate non la danno, le single sì. Motivo per cui è opportuno che le single, se ci tengono alla vita, girino alla larga dagli uomini delle accoppiate, fossero anche i loro cugini. Il fatto è che, escludendo l’ipotesi di essere nate tali, pure le accoppiate sono state single un tempo: quindi va da sé che l’hanno data, se no non si sarebbero potute accoppiare. Procedendo per tentativi come tutte, a meno di immediate botte di culo o discutibile propensione ad accontentarsi del primo venuto: a dimostrazione appunto dell’assunto di cui sopra, e cioè che la migrazione da un gruppo all’altro è palese ed innegabile. È importante rilevare, in questo caso, la presenza di un sottoinsieme inquietante: le accoppiate in crisi. Vere e proprie mine vaganti, vampire assetate di approvazione e consolazione, disposte a tutto pur di placare la loro frustrazione o di riaccoppiarsi serenamente: peggio delle single, che in fondo magari si divertono solo e non hanno nessuna intenzione di smettere davvero.
  • L’età. Anche in questo caso il divario è netto, legato ad un semplicissimo calcolo matematico: quelle con dieci anni di più o di meno la danno. Per intenderci, secondo una trentenne sono le ventenni dalla pelle fresca e senza preoccupazioni (se non quella di farsi mantenere dai genitori) a darla, insieme alle quarantenni d’assalto, magari pure separate, che hanno raggiunto la piena maturità e la sfoggiano compiaciute. Per le quarantenni, a loro volta, le trentenni sono tutte single alcoliste che la elargiscono in scioltezza e le cinquantenni cougar consapevoli che la danno via per due lire come alle svendite per cessata attività. E così via: si tratta insomma di uno scontro generazionale fra poveracce.

Un giorno analizzeremo quanto tutto ciò faccia la gioia del genere maschile.

Di L'opinionista scalza

Scrivo perchè telefonare è troppo faticoso.

Un pensiero su “Teoria e pratica della solidarietà femminile.”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *